Combattere gli attacchi di panico

Combattere gli attacchi di panicoIn questo articolo cercherò di dare una panoramica dei meccanismi che sottostanno all’insorgenza degli attacchi di panico e quindi dare l’opportunità al lettore di comprendere e fare un primo passo per combattere questo disturbo ormai molto diffuso. Prima di parlare nello specifico dell’attacco di panico tuttavia è necessaria una premessa e cioè serve un chiarimento rispetto all’ansia e alla sua relazione con l’attacco di panico.

Uno stato di leggera ansia è piuttosto comune, spesso ci accompagna nella nostra quotidianità quando ci troviamo ad affrontare particolari impegni o le difficoltà di tutti i giorni. Un’ansia moderata, di breve durata, è quindi un segno di adattamento dell’individuo a situazioni ambientali che richiedono risposte soddisfacenti: è utile e funzionale perché prepara l’individuo ad affrontare in modo adeguato prove ritenute difficili attraverso l’aumento di tensione muscolare, di attenzione, di concentrazione, di memoria e di altre funzioni psicofisiche funzionali al superamento della prova.
Talvolta impegni e difficoltà diventano troppi o si protraggano troppo a lungo e questo non permette di recuperare le nostre energie psicofisiche; allora subentra un malessere o un disagio più o meno intenso chiamato comunemente stress.

L’attacco di panico è la manifestazione psicopatologica più comune legata all’ansia e in assoluto quella più violenta in cui si scatenano nell’arco di un breve tempo veri e propri sintomi ansiosi: sensazione di terrore e angoscia accompagnata da fenomeni somatici come senso di soffocamento, palpitazioni, sensazione di svenire, tachicardia, palpitazioni. Tutto inizia senza preavviso e insorge mentre la persona sta svolgendo un’attività relativamente tranquilla come può essere guidare l’automobile o entrare in un negozio.

Da molto tempo mi occupo di attacchi di panico e la descrizione di un attacco di panico da parte di ogni paziente di qualsiasi età segue un modello costante: “il cuore batte all’impazzata, mi manca l’aria, mi sento svenire, sembra di morire, ho paura di impazzire, di perdere il controllo”. L’attacco di panico è fondamentalmente la paura di avere paura, la paura di morire, la paura di impazzire. Spesso chi ne soffre associa e spiega il panico con il luogo e le condizioni in cui questo si verifica; le condizioni possono essere molto diverse, anche se spesso l’attacco di panico si manifesta quando l’individuo si sente costretto in una certa situazione come un mezzo di trasporto, la metropolitana, l’aereo, la macchina, o situazioni che sembrano costringere in una posizione senza via di uscita come il cinema, un ingorgo o, al contrario, in ambienti aperti in cui ci si sente persi e senza punti di riferimento. L’associazione dell’attacco di panico con l’ambiente in cui questo si manifesta diventa quasi un fatto magico: evitando il luogo o la situazione in cui la persona si è sentita male, si cerca di controllare e di allontanare la paura della paura.

Il vantaggio iniziale è che evitando la situazione che fa paura si ha l’illusione di risolvere e allontanare il problema; questo tipo di difesa fobica, inizialmente, sembra funzionare: la persona vive l’illusione di poter controllare il problema evitando alcune situazioni. Purtroppo questo sollievo iniziale ha una durata breve perchè infatti, progressivamente, aumentano le situazioni ansiogene o pericolose fino a limitare significativamente la propria vita al punto, in alcuni casi, di giungere a chiudersi in casa per evitare ogni tipo di incontro sociale. Tutto allora diventa difficile ed anche le azioni più semplici come andare al lavoro, incontrare amici o fare una passeggiata diventano “imprese eccezionali”, troppo difficili da gestire al punto da rinunciarne.

L’evitamento delle situazioni potenzialmente ansiogene diventa la modalità prevalente di vivere la vita e questo spesso ha delle ricadute anche sulle persone che stanno vicino: ad esempio costringe spesso i familiari ad adattarsi di conseguenza, a non lasciare mai sola la persona, ad accompagnarla ovunque, portando frustrazione e spesso a una depressione secondaria.

Per risolvere i problemi connessi a questo disturbo è importante sapere che curare gli attacchi di panico si può.

Il modello esplicativo delle cause d’ insorgenza dell’attacco di panico è noto col nome di modello stress-diatesi: questo modello afferma che da un lato c’è una vulnerabilità organica predisponente (diatesi), e dall’altro che questa vulnerabilità interagisce con specifici fattori stressanti ambientali (stressor).

I percorsi individuali patogenetici che portano al disturbo di panico possono essere più di uno; molti studi hanno evidenziato situazioni statisticamente correlate al ruolo di attivatori del primo attacco di panico: ad esempio un lutto e più in generale la perdita di una persona cara, un cambiamento inatteso o non voluto in uno dei momenti cruciali della propria vita, una situazione particolarmente stressante. Le caratteristiche caratteriali sono anch’esse tipiche di tale disagio. Anche se in apparenza la persona è tranquilla, non è affatto ansiosa, a volte un piccolo trauma o una delusione possono dare luogo al primo attacco di panico. Quando a seguito di queste cause, al primo seguono altri attacchi di panico, a prescindere da quale sia la reale causa sottostante, si può instaurare il meccanismo patologico del disturbo di panico.

Uno studio ha ad esempio evidenziato che gli eventi più stressanti per un individuo risultano essere i cambiamenti come la morte di un coniuge, il divorzio, o la separazione; cioè tutte quelle circostanze in cui avviene un distacco e siamo in qualche modo costretti a riorganizzare la nostra esistenza. Questo per dire che generalmente l’esordio del disturbo di panico avviene all’interno di un contesto di cambiamento di vita come l’inizio di una nuova attività, l’iscrizione all’università, un trasferimento in un’altra città o prima di un matrimonio. Tutti questi momenti sono situazioni in cui gli abituali stili di vita possono cambiare radicalmente, passaggi di vita che possono portare la paura del nuovo. Spesso nei resoconti di chi soffre di attacchi di panico è presente una descrizione stereotipata del periodo precedente all’insorgenza del disturbo, come se ci fosse una demarcazione netta che segna la differenza tra una situazione di perfetto benessere e lo stare male, come se la persona si rifugiasse in una dimensione che sembra più collegata a una sorta di mitico paradiso perduto, piuttosto che con gli avvenimenti passati. In termini analitici, a livello psichico, abbiamo una sorta di combinazione di alcuni meccanismi di difesa intrapsichici, soluzioni funzionali alla propria sopravvivenza:

1. annullamento retroattivo, cioè lo sforzo inconscio di controbilanciare un affetto, in genere un senso di colpa o la vergogna, con un atteggiamento o comportamento che magicamente può cancellarlo (per esempio il marito che porta un regalo alla moglie per compensare uno scatto di nervi precedente);

2. formazione reattiva, cioè la conversione di un sentimento nel suo opposto per negarne l’ambivalenza (per esempio un sentimento di disprezzo o di invidia trasformato in ammirazione e amicizia funzionale al disconoscimento del vero sentimento che viene negato);

3. somatizzazione, cioè l’attenzione focalizzata su sintomi fisici piuttosto che sui significati psicologici;

4. spostamento, cioè un’emozione o comportamento che viene spostato dall’oggetto iniziale ad un altro per contenere l’ansia.

Tutte queste difese agiscono in modo da impedire una riflessione interna e il prendere contatto con ciò che ci fa soffrire.

In talune forme piuttosto invalidanti può essere necessario ricorrere, attraverso lo psichiatra, all’assunzione di alcune terapie farmacologiche che possono dare un certo sollievo e aiutare la persona nella sua vita quotidiana, come ad esempio riprendere il lavoro o riuscire a fare la spesa.

La terapia farmacologica degli attacchi di panico e dell’agorafobia si basa su due classi di farmaci: benzodiazepine e antidepressivi che possono essere impiegati in associazione. Nelle forme lievi le sole benzodiazepine possono essere sufficienti (alprazolam, etizolam, clonazepam, lorazepam sono tra le molecole più usate). Tra gli antidepressivi si sono mostrati efficaci per il panico i triciclici, gli inibitori delle mono amino ossidasi (IMAO) e gli inibitori selettivi del reuptake della serotonina – SSRI.
Tuttavia una terapia farmacologica, come unico trattamento, in assenza di una psicoterapia costruita su misura per la persona, all’interno di un setting che si prende cura della persona come soggetto nella sua interezza, è a mio avviso sconsigliabile: il rischio è di creare una dipendenza da tali farmaci senza mai però risolvere il problema alla radice. E’ mia opinione che l’uso della psicoterapia è in grado non solo di risolvere il sintomo in sé, ma anche e soprattutto serve a mettere mano a ciò che ha condotto al disturbo di cui l’attacco di panico corrisponde solo alla punta dell’iceberg. Una serie di colloqui iniziali può aiutare a inquadrare la situazione generale dell’individuo rispetto agli attacchi di panico senza forzarla in uno stereotipo clinico e serve per costruire insieme alla persona un percorso individualizzato.

La terapia non può prevedere un numero definito di incontri, perché l’andamento del trattamento dipende dalle caratteristiche di personalità della persona, dalla situazione di disagio profonda di cui la persona è portatrice e da come si affronta la terapia. La durata, comunque, è anche in relazione al tempo vissuto con questo disturbo senza averlo mai affrontato da un punto di vista psicologico: spesso ho incontrato persone che hanno deciso di intraprendere un percorso di psicoterapia solo dopo molti anni di farmaci senza alcun risultato se non la dipendenza dagli stessi.

Per finire vorrei dare qualche consiglio quando si viene colpiti da un attacco di panico improvviso:

A) Di attacco di panico non si muore. Nonostante la situazione sia di grande disagio non si muore per un attacco di panico
B) L’esordio è improvviso ma dura pochi minuti: come è venuto rapidamente, altrettanto rapidamente se ne va
C) Per quanto possibile cercate di sedervi e respirate lentamente e regolarmente
D) La vostra mente sarà invasa da pensieri catastrofici per cui provate ad utilizzare alcuni trucchi per non amplificarli, come ad esempio contando o utilizzando qualsiasi sistema più consono a voi per allontanarvi da questi pensieri
E) Chiedete aiuto: una parola di un amico vale più di qualsiasi ansiolitico
G) Se la situazione diventa ingestibile rivolgetevi al più vicino pronto soccorso
H) Passato l’attacco cominciate a riflettere se forse non è il caso di cominciare a prendervi più cura di voi stessi attraverso un aiuto psicologico.

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